Carlo nel Gotha

26 maggio 2014

Con la conquista della Champions League 2014 Carlo Ancelotti è meritatamente il personaggio calcistico di cui più si parla, soprattutto in Italia, in queste ore. Prevale, da noi, un comprensibile orgoglio provinciale a causa del declino repentino e profondo del nostro calcio a livello internazionale, e ci si aggrappa a "Carletto nostro" per illuderci di essere ancora grandi. Lo siamo stati, anche in un recente passato, e Ancelotti è proprio un testimone di quella tradizione.

24 maggio 1989, Camp Nou, Barcellona
La prima coppa
Media e social network sciorinano in queste ore anche palmarès e statistiche [vedi]. Il commento dell'interessato ne riassume la persona: "Non è che questi numeri ti garantiscono il futuro. Quando comincia la prossima stagione se perdi due partite sei già un pirla. Quindi stiamo tranquilli" [vedi]. Ma la questione è molto semplice. Con la vittoria di Lisbona Carlo si è consacrato probabilmente come il più grande allenatore di questo inizio secolo. Negli ultimi 12 anni ha vinto una CL su quattro. Negli ultimi dieci ha vinto campionati, e coppe varie, in Italia, in Inghilterra, in Francia e, a breve (la Liga), anche in Spagna. Nessuno altro può vantare una carriera analoga, vincente e di livello altissimo: Milan, Chelsea, PSG, Real Madrid. A soli 55 anni.

I confronti con Miguel Muñoz e Bob Paisley sono inevitabili. Ma anche rispetto ai venerabili santoni del secolo scorso sono almeno un paio le differenze: Muñoz e Paisley sono "monocolori", avendo vinto solo con Real e Liverpool, mentre Carlo ha vinto in quattro paesi diversi finora; e se Muñoz ha vinto come Ancelotti anche due Coppe dei campioni da giocatore, Carlo ne può vantare una in più complessivamente e soprattutto su un arco temporale molto più lungo: un quarto di secolo, dal 1989 al 2014 (vale a dire in almeno un paio di ere calcistiche), rispetto al decennio 1956-1966 dello spagnolo.

Anche rispetto agli altri giocatori che hanno poi vinto anche da allenatori la coppa dalle grandi orecchie Carlo si erge di uno o due gradi: su Johan Cruijff (Ajax 1971, 1972, 1973 e poi da coach 1992 col Barcellona) e su Frank Rijkaard (tre da giocatore - Milan 1989 e 1990 e Ajax 1995 - e una da tecnico col Barcellona nel 2006); su Giovanni Trapattoni (1963 e 1969 col Milan in campo e 1985 con la Juventus in panchina) e su Pep Guardiola (1992 in campo, 2009 e 2011 alla guida del Barcellona).

15 maggio 2010, Wembley Stadium, Londra
Tra i 29 titoli non poteva mancare
la prestigiosissima FA Cup
Appartengono a questo Gotha di grandissimi figli di Eupalla anche Franz Beckenbauer, che ha vinto anche campionati mondiali sul campo e in panchina, Mário Zagallo, il più titolato giocatore e allenatore del Sudamerica, Jupp Heynckes, campione del mondo ed europeo sul campo e detentore di due CL con squadre diverse (Real 1998 e Bayern 2013), e Vicente Del Bosque, che da giocatore ha vinto "solo" 5 campionati e 4 coppe del Rey ma che da tecnico vanta un pedigree impressionante (con, tra le altre, due CL, un Mondiale e un Europeo). Non hanno vinto nulla di significativo da giocatori ma vantano un palmarès che li erge di diritto all'empireo anche Alex Ferguson (che ha conquistato trofei internazionali anche con l'Aberdeen prima del suo lungo regno mancuniano), e Marcello Lippi, Carlos Alberto Parreira e Luiz Felipe Scolari (che hanno vinto, tutti e tre, titoli mondiali, continentali e internazionali).

Tutti gli altri stanno comunque una buona spanna sotto al Gotha, per limitarsi agli allenatori (europei) ancora attivi, e vincitori di Champions [vedi in maggiore dettaglio]: da Rafa Benítez (cinque titoli internazionali con 4 squadre diverse tra 2004 e 2013) a Louis van Gaal (cinque, di cui una sola CL, concentrati ormai tra 1992 e 1997), da José Mourinho (tre soli titoli internazionali, ma due CL con due squadre diverse) a Fabio Capello (due, ormai nel 1994), da Ottmar Hitzfeld (2 CL, tra 1997 e 2001, con due squadre diverse) a Roberto di Matteo (che è l'eccezione che conferma la regola). Di questi solo Capello può vantare qualche titolo significativo (nazionale) da giocatore. Più sotto ancora stanno gli altri: a Diego Simeone manca ormai solo la laurea in CL; altri sono in attesa di vincere qualcosa in Europa come Jürgen Klopp, Roberto Mancini, Laurent Blanc e Antonio Conte. Altri sono forse (Manuel Pellegrini) o decisamente (Arsène Wenger) sopravvalutati.

La declinazione del Gotha è ovviamente perfettibile, ed esclude in questa sede i grandi del Novecento: da Chapman a Pozzo, da Sebes a Guttmann, da Herrera a Busby, da Hogan a Rocco, da Schoen a Bearzot, da Maslov a Lobanovs'kyj, da Michels a Sacchi, per indicare solo quelli che, tra i primi, soccorrono alla mente. Ci torneremo sopra. Ma quel che volevamo significare è che il 24 maggio 2014 Carlo Ancelotti vi ha apposto il suo sigillo definitivo ai piani più alti. Compiuta l'esperienza madrilena - che non potrà essere lunghissima, per le turbolenza ambientali - gli mancherebbero solo la Bundesliga e la Nazionale. A quest'ultima aspira, legittimamente. E sarà certamente sua, dopo il 2018 o magari già dopo il 2016.

24 maggio (ancora una volta) 2014, Estadio Da Luz, Lisbona
Ormai è appesantito ma il trionfo da parte dei suoi giocatori è sentito
Resterebbe da dire della sua idea di gioco. Che ha attinto in origine ai suoi due maestri dichiarati - Nils Liedholm (zona e possesso) e Arrigo Sacchi (pressing e compattezza) - ma che poi ha fatto della duttilità (dall'iniziale 4-4-2 all'"albero di Natale") la sua vera cifra, come è nella natura della persona, pragmatica e affabile. Il capolavoro della carriera lo ha compiuto probabilmente proprio quest'anno con il Real Madrid: ha risollevato un ambiente dalle macerie lasciate dal predecessore plasmando il gioco sulle caratteristiche e sulle qualità dei giocatori, in un quotidiano lavoro di campo, mettendo insieme tante individualità in un coerente progetto di squadra. Che, bene inteso, è ancora in divenire e non è detto che possa compiersi del tutto, dal momento che il presidente del Real è un megalomane collezionista di figurine più che uno strategico costruttore di progetti. Ma anche in questo Ancelotti si è dimostrato un maestro. A differenza del predecessore, che proprio a Madrid ha mostrato tutti i suoi limiti e le sue fragilità.

Azor