Herbert Chapman

"He was more a visionary than a coach"
(Matt Busby)


Herbert Chapman (Kiveton Park, 19 gennaio 1878 - London, 6 gennaio 1934)

Sitografia essenziale
Wikipedia: italiano - inglese | Bio: Spartacus Educational | Arsenal website 
FourFourTwo (Chapman per Highbury) | In his own words (Daily Mail, 29 gennaio 2011) | ESPN FC (Arsenal legacy) 
Storie di calcio | Treccani

Bibliografia essenziale: Chapman on football | Football emperor | Tony Say, Herbert Chapman: Football Revolutionary?, The Sports Historian, 16, 1996

Stampa italiana: Vittorio Pozzo, Il calcio inglese rifulge solo negli incontri di campionato, "La Stampa", 15 dicembre 1932 | Vittorio Pozzo, Chapman, il "genio del calcio inglese, "La Stampa", 11 gennaio 1934 | Eugenio Danese, L'uomo che gli sportivi inglesi piangono: Herbert Chapman, "Il Littoriale", 12 gennaio 1934

Video: Pathe Gazette, A great sportsman passes (George Allison's farewell tribute. Allison sarà il successore di Chapman sulla panchina dell'Arsenal)


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Geniale. Visionario. Rivoluzionario. Per lui, non si è fatta economia di aggettivi. Che Herbert Chapman costituisca figura tra le principali nella storia del football inglese è indubbio. Se non altro, perché seppe condurre al vertice due club che, prima di lui, vivevano stagioni più che mediocri: l'Huddersfield Town e, soprattutto, l'Arsenal. Alla guida di questi storici XI, Chapman mise insieme quattro titoli della First Division e alzò insieme ai suoi giocatori due volte la coppa più prestigiosa del regno, la Football Association Cup. Titoli equamente divisi tra Leeds Road ed Highbury. Ad Highbury, si dice, inventò anche un modo del tutto nuovo di praticare il gioco del calcio; dando in materia all'Inghilterra l'ultima 'merce' da esportare sul continente: il WM. La vulgata, peraltro, esalta in Herbert Chapman anche l'innovatore di tutti gli aspetti dell'attività manageriale. Fu lui il primo a guidare un club dalla scrivania e dal campo: ingaggiando giocatori, occupandosi del marketing, studiando e cambiando i colori delle divise sociali, formulando strategie di gioco, progettando migliorie per lo stadio: la narrazione agiografica nutre il culto di infiniti followers e una abbondante bibliografia.

Chapman fece installare ad Highbury un orologio.
Nella foto, quello a giro completo che presto lo sostituì:
la College-end divenne così la Clock-end

Chapman vantava già esperienza manageriale in club minori, quando arrivò ad Huddersfield. Qui rimase quattro stagioni; dopo l'ultima, si verificò il cambiamento epocale (quello relativo alla regola del fuorigioco) che gli avrebbe consentito di sfruttare appieno la propria intelligenza strategica e di mettere a punto il modulo di gioco passato alla storia come Chapman's System, o WM, o (in italiano) 'Sistema'. Si sfoglino - per esempio, Jonathan Wilson (Inverting the pyramid) o Mario Sconcerti (Storia delle idee del calcio): sono concordi nell'attribuire a Herbert Chapman e all'Arsenal di Chapman la svolta, con tutte le conseguenze (anche negative) che avrebbe determinato nel calcio praticato dagli inglesi e non solo da loro per anni a venire.


Il 'sistema', facilmente rappresentabile con un disegno sulla lavagna, è dunque considerato il suo lascito principale. Un escamotage, apparentemente, abbastanza semplice: si è trasformato il center-half  in difensore centrale (il 'terzo difensore'), si sono arretrati due attaccanti, formando un quadrilatero a centrocampo. Pura geometria. Una soluzione che, tuttavia, doveva fare i conti con la cultura e le attitudini dei footballer britannici, per tradizione votati a uno specialismo ripetitivo e abituati a un 'altro' gioco.

E qui sta il punto che principalmente va messo in luce. La grandezza di Chapman consistette soprattutto nel saper ben mescolare la propria intelligenza strategica alla scelta dei giocatori, nel saper mettere in campo di volta in volta il suo XI sfruttando al meglio le caratteristiche della rosa a disposizione e calibrando il piano di gioco su quelle degli avversari. Suo scopo principale - e da lui più volte enunciato - era vincere le partite, non imporre rivoluzioni tattiche. Far cantare i tifosi - e, di conseguenza, il botteghino. Alzare trofei. Incrementare il target. Era anzitutto un pragmatico; rielaborava ex post la propria esperienza, formalizzandola in scritti solo apparentemente teorici: quelli (densi di sorprendente modernità) che affidava al Sunday Express, e che vennero raccolti in volume dopo la sua scomparsa.

Forse più lucidamente di altri, Chapman colse le opportunità offerte dalla nuova off-side rule, entrata in vigore durante la sua prima stagione all'Arsenal. La riduzione delle chances di vanificare gli smarcamenti degli attaccanti avversari con la sistematica applicazione della off-side trap portò Chapman a focalizzare ancora di più la sua attenzione su movimenti, composizione e affiatamento del reparto difensivo. Un'attenzione che aveva già abbondantemente sviluppato negli anni di Huddersfield. Durante la sua ultima annata a Leeds Road (1924-25), i Terriers subirono solo ventotto reti (in quarantadue partite), autentico record, mai concedendone più di due nello stesso match e vincendo così il secondo di tre titoli consecutivi.

Un'istantanea dei Terriers nell'era Chapman.
Guida l'ingresso in campo Clem Stephenson, il capitano

L'Arsenal che ingaggiò Chapman galleggiava a malapena nella First Division. Ventesimo nel 1925; secondo nel 1926. Un'ascesa rapida e inaspettata, che tuttavia fu seguita da alcune stagioni (quattro) ancora mediocri, nelle quali i Gunners non andarono mai oltre la nona posizione. Ma l'agiografia vuole che proprio in quella prima stagione, e precisamente dopo una pesantissima sconfitta a St James Park (sette a zero) occorsa il 3 ottobre, Chapman introducesse stabilmente il terzo uomo nella linea di difesa. Su esplicita richiesta di Charlie Buchan, il forte (benché anziano) centre-forward appena ingaggiato. L'uomo prescelto fu Jack Butler, ad Highbury da una vita. Era davvero una novità? No, perché nella finale di FA Cup del 1922 lo stesso Chapman aveva arretrato, nella medesima posizione, Bob Wilson, incaricandolo di tenere a bada per l'intero incontro Billy Roberts, centravanti del Preston, e vincendo la partita con un gol allo scadere. I soloni della Football Association storsero il naso: "there was 'a right way to play' from which Chapman was deemed to have deviated" (Inverting the Pyramid, cap. 3).
In realtà, testimonianze posteriori sembrano escludere che la linea difensiva a tre e il ruolo del centre-back siano stati brevettati da lui; esperimenti simili erano stati condotti al Newcastle, al QPR, al Tottenham, al Sunderland, al Preston, allo United, e (attenzione) prima del cambiamento dell'off-side law. Cambiamento che non fu dunque all'origine della nascita dello 'stopper', ma che senz'altro ne rese più palese la necessità. A quel punto, il problema consisteva nella scelta dell'interprete adatto e nel suo addestramento; nonché, e di conseguenza, nell'adattamento di tutti gli altri reparti della squadra al nuovo modulo.

1° marzo 1926, Villa Park
Un'istantanea dei Gunners nel primo anno dell'era Chapman.

Charlie Buchan in testa alla processione

Fu un lavoro lungo; il centre-back del grande Arsenal fu Herbie Roberts, arrivato nel 1926 da un club minore del distretto di Birmingham: meno dotato tecnicamente di Butler, ma imbattibile nel gioco aereo e terrificante nel tackle. Soprattutto, giovane e non ancora altamente specializzato, dunque opportunamente addestrabile. Con Roberts, il 'terzo difensore' di Chapman non ebbe più alcuna parte nella costruzione del gioco, alla quale invece restavano (pur parzialmente) dedicati, in altre compagini, i pedatori impiegati in quel ruolo. Con il centrale fisso, i terzini si allargavano, tappando le corsie laterali; e le due wing-halves ebbero anzitutto il compito di difendere sui due insight-forwards avversari: l'esito di quei duelli determinava l'esito delle partite. Sostanzialmente, come ammise lo stesso Chapman, l'evoluzione verso il 'suo' WM fu stimolata dalla progressiva e generale mutazione della linea offensiva a cinque, dalla quale due uomini venivano ormai stabilmente arretrati.

Definita la trazione posteriore, all'Arsenal mancava qualcosa davanti, la qualità che - appunto - impedì al team di essere subito vincente. In particolare, pare che la scarsa incisività delle ali costituisse allora il principale problema. La sottolineatura è di un noto giornalista italiano di quell'epoca, Eugenio Danese, che incontrò Chapman a Parigi nel 1928, forse in occasione di una sua trasferta in terra di Francia per concordare partite (amichevoli) e date. "Da quell'uomo pratico che era, pensò di far gravare l'attacco unicamente sui tre uomini di centro, affidando alle ali l'incarico di alimentarne il gioco con passaggi da effettuarsi raso terra prima dell'area di rigore e, comunque, mai dagli angoli del campo. Ricordo che il tecnico inglese, nel mostrarmi un disegno nel quale erano soppresse, quali zone di nessun interesse, i quattro angoli del campo, spiegò: Un giocatore non ha nulla da fare, là. Ogni volta che vi si opera l'azione è ritardata. Da questi punti l'ala effettua il centro: siccome tutti l'attendono, non c'è nessuna sorpresa. Tutti i difensori avversari sono piazzati, e un portiere che si rispetti raccoglie sempre i lunghi centri a parabola alta che spiovano entro la propria area di rigore, ringrazia e passa ai compagni"

1931. I Gunners espongono per una foto-ricordo la loro recente argenteria

Poi arrivarono Hulme e, soprattutto, Cliff 'Boy' Bastin. Quest'ultimo, un fuoriclasse. Il talento di Alex James completava la funzionalità offensiva dei Gunners, basata su veloce riconquista e circolazione della palla e ricerca della verticalità; dietro, marcature a uomo, diagonali, affollamento degli spazi: l'Arsenal diventò nei primi anni '30 una macchina pressoché imbattibile. Basata essenzialmente, dunque, su difesa e contropiede: "the most opportune time for scoring is immediately after repelling an attack, because opponents are then strung out in the wrong half of the field" (cit. in Football emperor). Tutti giocavano ormai a WM; quello dell'Arsenal era 'speciale' e unico perché unica e speciale era la chimica dei suoi giocatori e dell'interazione tra loro e il boss.

Cliff  'Boy' Bastin, la stella
Le cose, insomma, erano divenute molto più complicate; gestire una squadra e il suo gioco, scegliere gli uomini e addestrarli a collaborare all'interno di un 'modulo', era ormai una faccenda assai più delicata che in passato. Vantaggi e svantaggi del modern game. Chapman stesso, d'altra parte, riflettendo sulla nuova regola del fuorigioco, si domandò "whether it would been made if it had been realized how the structure of the game as well as the players was to be changed". Gli stessi club "would have pondered long over it if it could have been foreseen how managerial difficulties were to be increased". Il gioco è divenuto più veloce; organizzarlo nei dettagli è perciò una necessità. "I have been told that there is too much system, and that those those of us who are said to have conspired to bring it about have been responsible for driving out the individual touch. The truth is that the exigencies of the game have left us no alternative. We have been compelled to scheme, to produce the results which the public demands". Ma è davvero meno godibile, quel gioco, se l'arte del dribbling è andata perduta o quasi? "In its place is the twenty-yards pass, which has a faster purpose, and is probably even more effective. I think it will be conceded that the clubs are good judges of the type of play which satisfies the public taste. Can it be believed that Arsenal, on order simply to produce results, would cultivate a style that did not appeal to the fans?" In buona sostanza, Chapman non inventò il 'sistema'; fece molto di più: lo rese estremamente efficace, vincente e spettacolare.

Chapman preparava le partite nel dettaglio; a tavolino, considerava i punti di forza e di debolezza del prossimo avversario; pianificava ogni match, coinvolgendo la squadra nella discussione. Come si sa, fu proprio questa sua esasperata professionalità ad accorciargli la vita. Guardare partite, studiare gli avversari, vedere come crescono i ragazzi della terza squadra, osservare giovani promettenti. Trascorse così i primi giorni del 1934, e si ammalò. Infischiandosene. La notizia della sua morte si diffuse ad Highbury nel pomeriggio del 6 gennaio, prima di Arsenal-Sheffield Wednesdey - proprio a Hillsborough, dove si era recato il 2 per misurare la forma degli Owls, contrasse il virus influenzale, che degenerò per sua incuria. Il football inglese perse l'uomo del presente e probabilmente del futuro; l'unico in grado di mantenerlo al top negli anni del grande confronto internazionale.

La Clock-end il 6 gennaio 1934, giorno di Arsenal-Sheffield.
A capo scoperto, si osserva il silenzio in memoria del boss.
Gli sguardi valgono più di mille discorsi

La cosa era ben chiara a figure come Pozzo e Hugo Meisl. Il commissario unico della nazionale italiana conosceva bene l'Inghilterra e il calcio inglese. Monsù è a Stamford Bridge, il 6 dicembre 1932, per vedere il famoso match tra inglesi e austriaci; rimane a Londra per diversi giorni, e l'11 è ad Highbury: c'è Arsenal-Chelsea. Durante i giorni precedenti osserva da vicino il lavoro dei Gunners nelle sedute di allenamento. Rimane profondamente impressionato. "Veder giocare l'Arsenal al momento attuale è uno spettacolo". Ciò che praticano gli uomini di Chapman "è gioco, è tecnica, è tattica, è strategia, è scienza. Uno spettacolo che dà gioia, diletto, godimento spirituale come lo può dare uno spettacolo d'arte". Esagerava? Forse. E' bello immaginare le chiacchiere corse in quei giorni tra Pozzo, Chapman e Meisl. Monsù ne lascia una piccola traccia: "dice Herbert Chapman, il simpatico segretario dell'Arsenal, che egli si sente di battere in qualunque momento e in qualunque circostanza, con la sua squadra, l'undici nazionale inglese. Nessuno di noi che poté fare confronti ne dubita. Meisl meno di tutti".

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"La squadra che riesca ad annullare i migliori giocatori avversari con i peggiori propri 
ha novanta probabilità su cento di non perdere la partita".

Qualche mese dopo, Chapman ricambia la visita. Per la prima volta, di fronte, Italia e Inghilterra, a Roma. L'Association non gradisce troppo la sua presenza, si dice; incomprensioni antiche, che non avranno mai tempo e modo di ricomporsi. La partita  è storica; ed è il manager dell'Arsenal che suggerisce alla commissione albionica le mosse che consentono ai Leoni di non perderla. Lo ricorda Monsù Poss: "fu con una specie di colpo di mano, dettato dalla competenza, dal patriottismo e dallo scrupolo, che Mister Herbert si impadronì della squadra bianca in quella contingenza. Fu lui che ne dettò la condotta tattica all'inizio ed a metà tempo contribuendo ad evitare la vittoria italiana". La testimonianza di Danese è ancora più precisa. "Era venuto ad assistere all'incontro tra bianchi ed azzurri, ma si era appartato dalla carovana ufficiale inglese a cagione del persistente disaccordo con le direttive degli ottantenni membri della federazione. La nostra conversazione fu meno cordiale di quella di cinque anni prima: egli ritenne insidiose alcune mie domande, si irrigidì, non volle rispondere. A incontro disputato, invece, abbandonò il riserbo dietro cui si era trincerato. Non attese che io gli rivolgessi domande, ma parlò spontaneamente, con simpatica franchezza: L'Inghilterra ha rischiato di perdere in malo modo nel periodo del primo tempo trascorso ad individuare punti di forza dell'attacco azzurro: poi, individuati e marcati strettamente Ferrari e Schiavio, la rete di Hibbs non ha più corso pericolo. Nel secondo tempo, annullati i due attaccanti efficienti, l'Italia non era più in grado di segnare. E chiuse le sue dichiarazioni con un aforisma: La squadra che riesca ad annullare i migliori giocatori avversari con i peggiori propri ha novanta probabilità su cento di non perdere la partita".

Mans